Henry Moore è sicuramente uno dei maggiori scultori del Novecento. Attratto dalla potenza espressiva e dalla semplificazione delle forme tipica dell’arte primitiva, così come dalla statuaria classica e rinascimentale, sviluppa un’estetica capace di conciliare la sacralità degli idoli antichi con l’umanesimo classico. Le sue figure reclinate rappresentano forse l’esempio più evidente di questa sintesi. L’incontro con il Surrealismo lo spinge poi a superare il realismo favorendo la realizzazione di sculture biomorfe, le quali meglio gli consentono di esprimere le tensioni che animano le forme e di creare un dialogo con l’ambiente circostante, basato sul rapporto tra forme organiche e spazio, tra vuoti e pieni. Le forme naturali richiamano costantemente la sua attenzione al punto da suggerirle nelle sue opere attraverso la forzatura delle proporzioni, la lavorazione della superficie scultorea e la scelta dei materiali. Il rapporto tra scultura e ambiente esterno trova in Moore anche una ridefinizione del concetto di “monumentale”, attribuendo all’opera scultorea valori e significati universali e immutabili.
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