Ogni artista risulta avere un proprio approccio particolare nel modo di fare arte in base a quelle che sono le proprie inclinazioni e la propria formazione.
Singolare è il modo di operare di Elisa Cella, artista che abbiamo avuto modo di incontrare a Monza, presso la Galleria Villa Contemporanea, dove sono esposti alcuni dei suoi lavori. L’artista ci ha spiegato in che modo nelle sue opere ci sia un forte legame con la scienza, qual è il significato del cerchio e come si relaziona con l’utilizzo di nuovi materiali o di nuovi elementi, quali lo spazio e la luce, nella realizzazione delle più recenti installazioni.
Osservando con attenzione le tue opere, che ad un primo sguardo appaiono astratte, sembra di essere davanti a conformazioni molecolari o disposizioni biologiche. Qual è il rapporto tra arte e scienza nei tuoi lavori?
La scienza è la maniera più sofisticata – ad oggi – attraverso cui l’umanità cerca di conoscere la realtà che ci circonda. Da sempre ci siamo posti domande nei confronti del reale a cui abbiamo risposto e rispondiamo con la cultura (religione, filosofia, scienze, arte) che ci siamo costruiti come singoli e come specie. Il mio fare arte si muove spesso da quelle stesse domande, indagando le suggestioni, il mistero e la bellezza che emergono dal confronto con la conoscenza. Quest’ultimo è ovviamente filtrato dal mio modus operandi, che, pur nella complessità delle varietà di tecniche, esprime una coerenza sul piano del significato.
Ad esempio, nella mia ultima personale nella galleria Villa Contemporanea, sto esponendo una grande installazione appesa al soffitto realizzata con una lastra di ferro tagliata al laser che rappresenta una cellula che si duplica, una delle caratteristiche della maggior parte degli esseri viventi, ed una tela e due lavori in plexiglas che sembrano rappresentare degli esseri viventi che invece non esistono; la mostra sottende la domanda “cosa differenzia la materia vivente dalla materia non vivente?”.
Quanto ha influito la tua formazione scientifica nella costruzione del tuo linguaggio artistico? Ci sono artisti o esperienze in particolare che ti hanno ispirata?
La formazione scientifica mi ha colonizzato l’immaginario. La mia formazione relativa alla storia della scienza e della cultura mi ha fornito la visione, l’approccio scientifico mi ha suggerito la forma del lavoro. Quando ho iniziato a lavorare non conoscevo quasi niente di arte contemporanea, non ci sono artisti che mi abbiano ispirato direttamente, poi ho trovato conforto in una serie di artisti diversi, da Saraceno alla Darboven, dalla Blank a Zorio, da Dadamaino a Lewitt.
Nei tuoi lavori il cerchio risulta essere un elemento fondamentale, in quanto si ripete in diverse dimensioni e configurazioni. Cosa rappresenta questa forma nel tuo immaginario e perché preferisci realizzarlo a mano libera?
Il cerchio (o la sfera) è una delle figure che viene più utilizzata quando si vuole rappresentare qualcosa in maniera generica, in matematica è la figura che probabilmente si disegna di più. Ha tanti significati a livello simbolico, è la prima figura geometrica che riconosce ed apprezza un neonato, ha una natura finita ed infinita, viviamo su un pianeta con una luna in orbita intorno ad una stella, etc etc. Inoltre è il modulo che utilizzo per rappresentare una realtà che ci appare continua, ma che è costantemente formata da entità sempre più piccole. Queste sono le risposte razionali. Irrazionalmente invece, il cerchio è stato il mio modo di iniziare a disegnare in maniera ossessiva, modo che poi è passato dalla pittura alla realizzazione di sculture ed installazioni e che nel tempo si è spogliato della componente ossessiva rimanendo struttura portante del mio lavoro.
Il cerchio nei disegni e nei quadri è realizzato a mano libera, fanno eccezione i cerchi di dimensioni più grandi, quando l’imperfezione distrarrebbe l’occhio che invece compensa automaticamente i difetti nei cerchi di dimensioni più piccole. Da subito l’imperfezione è stata una parte importante del lavoro, per due motivi: perché frutto del lavoro manuale ed anche perché ricordasse all’osservatore di non rimanere imprigionato nel cerchio, ma di cercare il significato ulteriore del lavoro. Il cerchio è un mezzo, non una decorazione.
Abbiamo visto alcune opere realizzate su tela e altre in plexiglas o in ferro; come si muove la tua sperimentazione artistica tra pittura e scultura?
Un gallerista nel 2016 mi ha chiesto un’istallazione per una mostra quando facevo solo pittura e, dopo lo sbigottimento iniziale, l’ho realizzata a rondelle su pavimento. Da lì mi si è aperto un nuovo mondo di prospettive inedite. Subito dopo, ho realizzato una scultura a terra realizzata in tubi saldati. Come già era in parte successo quando sono passata dal disegno alla pittura, l’uso di nuovi materiali e strumenti mi ha permesso di avere un approccio diverso col lavoro. Sto sperimentando nuovi materiali: ferro e plexiglas sono stati i primi due, ma sto lavorando anche con altri, con risultati a volte interessanti a volte no. Devo capire come usare i materiali al servizio del mio lavoro ed ogni materiale ha un suo modo che devo conoscere. Nel mio lavoro sono abituata a partire da zero ogni volta ed ad imparare, sperimentando e sbagliando, quello che mi serve.
Durante la creazione delle sculture hai avuto modo di approfondire anche i concetti di spazialità e luce. In che modo questi due elementi dialogano con il significato della tua arte?
Lo spazio è stata una scoperta immediata e meravigliosa. I miei lavori continuano ad avere una forte componente bidimensionale, per ora, ma hanno acquistato spessore ed abitano ed occupano lo spazio tridimensionale. Occupano lo spazio perché sono sculture o installazioni che possono essere appoggiate a terra o appese ai muri o sospese in verticale dal soffitto.
La luce è stata la seconda scoperta a cui invece non avevo pensato subito. Le installazioni di ferro sospese che scendono dal soffitto hanno una seconda visione fatta di ombra, che un faretto proietta sulle pareti. I lavori in plexiglas riflettono la luce in varie direzioni e proiettano ombre. Questo dà vita al lavoro e lo arricchisce, dandogli una veste forse più misteriosa ed allo stesso tempo leggera, e suggerendo metaforicamente che c’è sempre un oltre inaspettato a cui guardare.
La mostra riaprirà dopo la pausa estiva dal 3 al 14 settembre. Potete visitarla dal martedì al sabato dalle 15 alle 19 presso la Galleria Villa Contemporanea di Monza.